
Papa Francesco ha sempre amato lo sport. Da bambino giocava a calcio, in porta, con un pallone fatto di stracci. “Quello di cuoio costava troppo”, ha spiegato Bergoglio in un’intervista a La Gazzetta dello Sport. “Per me quel ruolo è stato una grande scuola di vita: bisogna essere pronti a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte”. Oggi, a 84 anni, il pontefice guarda lo sport da tifoso del San Lorenzo, una delle squadre di calcio più famose dell’Argentina, e da appassionato di basket, che ha praticato dopo aver giocato a calcio.
Pier Bergonzi, giornalista de La Gazzetta dello Sport, lo ha intervistato con (con l’aiuto di don Marco Pozza) e, dal testo dell’articolo, noi dell’ANAC abbiamo enucleato i 10 comandamenti dello sportivo secondo Papa Francesco: i valori ai quali chi fa sport dovrebbe ispirarsi. E che, a leggerli bene, sono l’emblema della vita.
1. Lo sport è gioia, appartenenza, condivisione
“Lo sport è tutto ciò che abbiamo detto: fatica, motivazione, sviluppo della società, assimilazione delle regole. E poi è divertimento: penso alle coreografie negli stadi di calcio, alle scritte per terra quando passano i ciclisti, agli striscioni d’incitamento quando si svolge una competizione. Trombe, razzi, tamburi: è come se sparisse tutto, il mondo fosse appeso a quell’istante. Lo sport, quando è vissuto bene, è una celebrazione: ci si ritrova, si gioisce, si piange, si sente di “appartenere” a una squadra. “Appartenere” è ammettere che da soli non è così bello vivere, esultare, fare festa”.
2. Il rispetto delle regole è alla base dello sport
“Il gioco e lo sport in genere sono belli quando si rispettano le regole: senza regole infatti, ci sarebbe anarchia, confusione totale. Rispettare le regole è accettare la sfida di battersi con l’avversario in maniera leale. Meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca”.
3. La motiviazione consente di sopportare la fatica
“A nessuno piace fare fatica perché la fatica è un peso che ti spezza. Se, però, nella fatica riesci a trovare un significato, allora il suo giogo si fa più lieve. L’atleta è un po’ come il santo: conosce la fatica ma non gli pesa perché, nella fatica, è capace di intravedere oltre, qualcos’altro. Trova una motivazione, che gli permette non solo di affrontare la fatica ma quasi di rallegrarsi per essa: senza motivazione, infatti, non si può affrontare il sacrificio. Il sacrificio, poi, richiede disciplina perché possa diventare successo”.
4. Il talento è un dono, ma va allenato
“Senza allenamento, però, anche il più talentuoso rimane una schiappa, si dice così? Ecco: per me allenarmi – e anche un Papa si deve sempre tenere in allenamento! – è chiedere ogni giorno a Dio “Che cosa vuoi che faccia, che cosa vuoi della mia vita?”. Domandare a Gesù, confrontarsi con Lui come con un allenatore. E se si fa uno scivolone, nessuna paura: a bordo campo c’è Lui che è pronto a rimetterci in piedi. Basta non aver paura di rialzarsi”. Il talento è un dono ricevuto ma questo non basta: tu ci devi lavorare sopra. Allenarsi, allora, sarà prendersi cura del talento, cercare di farlo maturare al massimo delle sue possibilità”.
5. È dalla sconfitta che nasce la vittoria
“Vincere e perdere sono due verbi che sembrano opporsi tra loro: a tutti piace vincere e a nessuno piace perdere. La vittoria contiene un brivido che è persino difficile da descrivere, ma anche la sconfitta ha qualcosa di meraviglioso. Per chi è abituato a vincere, la tentazione di sentirsi invincibili è forte: la vittoria, a volte, può rendere arroganti e condurre a pensarsi arrivati. La sconfitta, invece, favorisce la meditazione: ci si chiede il perché della sconfitta, si fa un esame di coscienza, si analizza il lavoro fatto. Ecco perché, da certe sconfitte, nascono delle bellissime vittorie: perché, individuato lo sbaglio, si accende la sete del riscatto. Mi verrebbe da dire che chi vince non sa che cosa si perde”.
6. La vera sconfitta è di chi si arrende, non di chi perde
“La tua resa è il sogno del tuo avversario: arrenderti è lasciargli la vittoria. È sempre un rischio: “E se avessi resistito un attimo in più?”, continuerai a dirti per chissà quante volte vedendo com’è andata a finire. Poi è anche vero che ci sono giorni in cui è meglio continuare a lottare, altri in cui è più saggio lasciare perdere. La vita assomiglia ad una guerra: si può anche perdere una battaglia, ma la guerra quella no! Un uomo non muore quando è sconfitto: muore quando si arrende, quando cessa di combattere”.
7. L’allenatore forgia il fisico, la mente e il cuore dell’atleta
“Nel momento della vittoria di un atleta non si vede quasi mai il suo allenatore: sul podio non sale, la medaglia non la indossa, le telecamere raramente lo inquadrano. Eppure, senza allenatore, non nasce un campione: occorre qualcuno che scommetta su di lui, che ci investa del tempo, che sappia intravedere possibilità che nemmeno lui immaginerebbe. Che sia un po’ visionario, oserei dire. Non basta, però, allenare il fisico: occorre sapere parlare al cuore, motivare, correggere senza umiliare. Più l’atleta è geniale, più è delicato da trattare: il vero allenatore, il vero educatore sa parlare al cuore di chi nasce fuoriclasse. Poi, nel momento della competizione, saprà farsi da parte: accetterà di dipendere dal suo atleta. Tornerà in caso di sconfitta, per metterci la faccia”.
8. La disabilità è negli occhi di chi guarda
“Quando vedo di che cosa sono capaci certi atleti, che portano impressa nel loro fisico qualche disabilità, rimango sbalordito dalla forza della vita. Dello sport mi piace l’idea di inclusione, quei cinque cerchi che si inanellano tra loro finendo per sovrapporsi: è un’immagine splendida di come potrebbe essere il mondo. Il movimento paralimpico è preziosissimo: non solo per includere tutti, ma anche perché è l’occasione per raccontare e dare diritto di cittadinanza nei media a storie di uomini e donne che hanno fatto della disabilità l’arma di riscatto. Quando vedo o leggo di qualche loro impresa, penso che il limite non sia dentro di loro ma soltanto negli occhi di chi li guarda. Sono storie che fanno nascere storie, quando tutti pensano che non ci sia più nessuna storia da raccontare”.
9. Le Olimpiadi servono a costruire un mondo migliore
“Le Olimpiadi possono fungere da faro per i naviganti: la persona al centro, l’uomo teso al suo sviluppo, la difesa della dignità di qualunque persona. E la parte più bella: “Contribuire alla costruzione di un mondo migliore, senza guerre e tensioni, educando i giovani attraverso lo sport praticato senza discriminazioni di alcun genere, in uno spirito di amicizia e di lealtà”. È già stato scritto tutto: viviamolo!”.
10. Il doping toglie la dignità a chi ne fa uso
“Il doping nello sport non è soltanto un imbroglio, è una scorciatoia che annulla la dignità. Prendere le scorciatoie è una delle tentazioni con cui spesso abbiamo a che fare nella vita: pensiamo sia la soluzione immediata e più conveniente ma quasi sempre conduce a degli esiti negativi. La scorciatoia, infatti, è l’arte di imbrogliare le carte. Penso, ad esempio, a chi va in montagna: la tentazione di cercare scorciatoie per giungere prima alla vetta, anziché percorrere sentieri segnati, nasconde spesso e inevitabilmente un lato tragico. Questo capita anche nell’allenamento delle differenti discipline sportive”.
La violenza dei tifosi va aborrita ed eliminata nello sport
Hai perfettamente ragione!